Un volto che ci somiglia. Ritratto dell’Italia

un volto che ci somigliaNon si tratta di romanzo, ma di un saggio scritto da Levi per accompagnare un volume di fotografie, in bianco e nero, di János Reismann. Il testo, con il titolo Un volto che ci somiglia, fu tradotto in tedesco e pubblicato nel 1959 dall’ editore Belser di Stoccarda. L’anno successivo venne pubblicato in Italia da Giulio Einaudi con il titolo Un volto che ci somiglia: ritratto dell’Italia. Il volume raccoglie le fotografie di noti monumenti del nostro Paese, di marine, di paesi sulle colline, di quartieri popolari delle grandi città come quelli di Napoli e Roma, ma anche i volti di contadini, pescatori e bambini che vivono intorno ai monumenti del passato. Ad accompagnare queste immagini l’analisi di Levi di un’Italia rurale e urbana che vive il suo tempo rendendo « …vivo il passato…» come se «… il tempo abbia poggiato una mano amica sopra ogni cosa…» facendo trasparire i tratti di un’identità italiana come identità culturale contrapponendosi all’identità nazionale che si era già costituita con lo Stato liberale e con il fascismo.

La doppia notte dei tigli

La doppia notte dei tigliPubblicato nel 1959 racconta le sensazioni del suo viaggio realizzato nel secondo dopoguerra in Germania. Il titolo è tratto da un verso del Faust di Goethe, in cui si narra del guardiano della torre che scruta e vede nella notte incendi e segni di massacro ovunque, Durch den Linden Doppelnacht, per “la doppia notte dei tigli”. Nella sovra coperta della prima edizione si legge « Sempre i paesi di Carlo Levi diventano sempre “suoi”, legati a questo ospite in perpetuo stato di grazia da un rapporto come di consanguineità, d’identificazione con una realtà interiore, con un simbolo lirico, esistenziale e razionale e storico. La Germania no, è e resta per Levi l’antitesi, l’altro da sè, e pure la sua sollecitudine conoscitiva lo porta ad aggredirla da ogni lato, a cercare di inglobarla, a farne scaturire quella che al di là delle scintillanti vetrine del “miracolo economico tedesco” e delle saracinesche dell’oblio del passato, è la sua anima».

Tutto il miele è finito

tutto-il-miele-e-finito082Ultimo racconto di viaggio pubblicato nel 1964 dedicato questa volta alla Sardegna. Carlo Levi visita l’isola in due volte, a dieci anni di distanza, nel maggio del 1952 e nel dicembre del 1962. Le riflessioni che l’autore trascrive nel suo diario di viaggio raccontano una terra con i suoi miti e suoi archetipi, una descrizione “barbarica e fiabesca”, come la definisce Franco Antonicelli, “una Sardegna di pietre e di pastori, e di uomini moderni e vivi”. L’autore si sofferma a descrivere i problemi quotidiani della terra sarda, raccogliendo i luoghi e i volti del territorio più interno, raccontando in particolare di zone che si imprimono nella sua memoria come Nuoro, Orgosolo e Orune. Tutto il miele è finito, il titolo prende spunto da un canto funebre sardo in cui la madre piange il figlio assassinato paragonandolo al miele che non c’è più, rappresenta una terra che non è immobile, senza tempo, ma una realtà in cui si avverte il cambiamento della storia, partendo dalle immagini arcaiche e primordiali: “Qui nell’isola dei sardi, ogni andare è un ritornare”.

Quaderno a cancelli

quaderno a cancellibisE’ l’ultimo scritto lasciato dall’autore torinese, composto durante il suo stato di parziale cecità. Carlo Levi, infatti, alla fine del 1972 fu colpito da un distacco della retina che gli causò una temporanea cecità e alcuni interventi chirurgici agli occhi. E’ da questa drammatica esperienza che nasce Quaderno a cancelli, pubblicato postumo nel 1979, che Giovanni Russo definisce il “libro segreto di Carlo Levi”. Si tratta, infatti, di una sorta di diario-autobiografico in cui i pensieri, le paure, gli ideali dell’autore vengono espressi; Levi impara non solo ad accettare, ma a riconoscere il tempo della malattia come un tempo speciale e privilegiato tanto da scrivere che “La storia del mondo è iscritta nella malattia, assai meglio e più chiaramente e profondamente incisa che nella storia delle idee e delle istituzioni”. Il titolo del libro si può far risalire alla speciale intelaiatura di fili di ferro, una specie di quaderno di legno a cerniera, munito di cordicelle tese tra le due sponde costruito per guidare la mano dello scrittore. Ma quasi certamente l’espressione “quaderno a cancelli” risale ad una poesia di Rocco Scotellaro del 1952: “Questo piccolo quaderno a cancelli / l’ho scritto per te di cui non parlo / per i tuoi occhi chiusi e i tuoi capelli / di cera, il naso che non può fiutarlo”. Il “quaderno a cancelli” del poeta di Tricarico è probabilmente il quaderno delle classi elementari di un tempo in cui i “cancelli” di prima elementare con barre orizzontali e verticali si trasformano in binari, perdendo quindi le barre verticali e lasciando solo quelle orizzontali così da guidare la scrittura.

Non puoi copiare il contenuto di questa pagina. Tutti i diritti sono riservati.